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domenica 17 aprile 2011

Forse vendicammo Hammer

FORSE VENDICAMMO HAMMER

Alzata la testa dopo essersi provata le scarpe la vide, ma certo non poteva dirsi convinta e certa di averla vista. Lo specchio era vicino a lei e quella che aveva vista riflessa era la sua faccia. Come faceva però la sua faccia a trovarsi in quella posizione. Se era la sua doveva starsene vicino al pavimento,  con un paio di scarpe nuove da provare.
Invece quella appena passata era in piedi e indossava un vestito che lei non avrebbe mai messo su.
Lasciò da parte le scarpe.
- Non ha intenzione di comprarle? - le chiese la commessa, dall’aria infastidita.
- No, non adesso, mi dispiace. Ho visto una persona che indossava delle scarpe differenti.
Le corse dietro. La vedeva solo di spalle, doveva fare presto a raggiungerla o l’avrebbe persa fra la folla del centro commerciale. Vide i suoi capelli. Erano come i suoi in tutti i particolari, stesso colore scuro, stessa lunghezza, lisci come i suoi, ma di sicuro tenuti meglio, con più cura.  I vestiti poi! I vestiti erano così diversi dai suoi.
- Permesso, permesso! Iniziò a sgomitare fra la folla.
Vide la donna prendere la scala mobile  La vide di profilo, quel profilo che conosceva così bene che mai avrebbe pensato di vederlo su altri.
- Dove vai con la mia faccia!
La scala mobile saliva sempre più in alto, portando la donna al terzo piano. Poté vederla con indosso una microgonna di colore arancio, ovviamente vistosa e che le lasciava perfettamente scoperte le gambe.
Ebbe un terribile momento di imbarazzo, aumentato nel vedere due ragazzotti indicare la ragazza sulle scale con il dito indice, e fare apprezzamenti sulle sue gambe, così generosamente mostrate.
Era imbarazzata. Aveva paura che la gente la vedesse, notasse quanto il suo volto fosse simile a quello di quella donna che saliva le scale. Dalla somiglianza col volto alla piena uguaglianza del resto del corpo il passo era breve. Com’era quella donna sulle scale e com’era lei. Vedere le gambe di quella donna era come vedere le sue.
I ragazzi continuavano i loro commenti. La donna sulle scale li notò, ripagando i due con un sorriso di autocompiacimento, che deliziò ulteriormente quei due mascalzoni. I loro commenti si fecero ulteriormente entusiasti. Altri occhi adesso puntavano le gambe della donna.
- Puttana! - pensò fra sé Tiziana - sperando che nessuno la guardasse.
Arrivata anche lei al terzo piano, continuò il pedinamento, mentre intanto un uomo, si avvicinava all’inseguita. Non provava neppure a fare resistenza. La donna pareva accogliere anche le attenzioni di questo con il massimo dell’arrendevolezza. L’uomo le aveva ormai cinto con un braccio la vita, facendole capire la sua intenzione di portarla in un altro luogo. La donna accettò e con il braccio destro ad abbracciare il nuovo venuto si perse tra la gente.

2
- No, non conosco nessuno dei nostri amici che abbia fatto una cosa simile!
- Massimo, io pensavo a Massimo. Gli avevo detto di no in maniera definitiva e non mi parve che l’avesse presa bene!
- Ascoltami Tiziana, non puoi accusare Massimo di aver fatto una cosa simile e poi anche se l’avesse fatto non dovresti condannarlo. In fondo sarebbe un gesto d’amore!
- Gesto d’amore un accidente! - urlò Tiziana - Capisco che per te la duplicazione non è un reato, ma per me e per la legge lo é.
- Non lo è - rispose calma e consapevole dei propri diritti la sua amica Irene. Senti Tiziana, non tutti nascono con la fortuna di essere belli come te o come Terence! La gente normale, come me ad esempio, o un po’ bruttina come Massimo, non può neppure sognare di stare con una persona bella. Ma la bellezza è un diritto, che diamine! Anche noi ne abbiamo bisogno!
- Ti sento urlare come un ossesso! Ti verrà la gola secca, vuoi che ti porti da bere, amore?
Terence entrò nella stanza, bellissimo. Alto più di un metro e novanta, la pelle perfettamente abbronzata a risaltare gli occhi verde chiaro e i capelli biondi e lunghi. Indossava una maglietta color avana, aderente al corpo, tutta traforata, su un paio di pantaloni di pelle nera. Si avvicinò a Irene, quasi inginocchiandosi per parlarle mentre lei era seduta.
- Se ti arrabbi così il tuo bel volto si sciupa.
- Mi arrabbiavo con Tiziana. La storia dei duplicati. Lo sai come la pensa.
Terence si voltò verso l’ospite, conservando una gentile espressione di rimprovero.
- Ah, ah Tiziana! Così farai arrabbiare la mia padroncina!
Tiziana non ribatté, girò la faccia altrove per non dover parlare con Terence, che comunque non si offese.
- Cosa gradisci amore?
- Una vodka alla prugna!
- E tu Tiziana?
- Un bicchiere d’acqua!
- Solo un bicchiere d’acqua? - chiese con il solito sorriso Terence.
- Si, solo un bicchiere d’acqua, Terence! Grazie!
Terence si alzò, diretto verso la cucina. Irene lo fermò.
- Terence!
- Si, padroncina?
- Ti spiacerebbe tornare in sala senza la maglietta?
- No, padroncina! Farò come tu mi dici! Vuoi che mi tolga solo la maglietta?
Irene ci pensò su un attimo.
- Si, solo la maglietta!
- Ai tuoi ordini padroncina.
Irene guardò Tiziana con aria di rimprovero.
- Ti riesce così difficile essere gentile con Terence?
- Fa qualche differenza essere gentile o meno con un duplicato.
- Lo vedi cosa sei? Sei razzista! Non accetti una persona diversa da te!
- Una persona! Ma come puoi definire persona un duplicato? Mi chiedo come tu faccia a provare sentimenti verso quell’ammasso di circuiti e bioestere.
- Non è un ammasso di circuiti e non parlare di Terence in quel modo! E’ l’uomo migliore del mondo.
- Perché è finto! Gli uomini veri non sono così!
- Certo!  Gli uomini veri ti lasciano, ti fanno soffrire, ti tradiscono!
- Ma mandavano avanti la nostra razza, Irene! I duplicati stanno affondando la razza umana!
Terence intanto era tornato. Non aveva più la maglietta. Procedeva a torso nudo, con un piccolo vassoietto.
- Ecco il bicchiere d’acqua per te, Tiziana, e la vodka alla prugna per il mio amore.
Le ragazze presero i bicchieri. Irene iniziò a sorseggiare ammirata del petto liscio e muscoloso di Terence.
- Sei sicura di non volermi vedere con qualcosa di meno addosso? Domandò il duplicato.
- Non tentarmi mio bel cameriere, non tentarmi!
Irene rideva, mentre Terence rimaneva immobile al suo fianco, con il vassoietto in mano, in attesa che Irene avesse finito. La ragazza ostentava sicurezza. Accavallò le gambe paffute, facendo ruvidamente strusciare le calze, in un suono che urtò i nervi di Tiziana.
- Lo sai Tiziana quante cure ho fatto per dimagrire? Quante rinunce ho dovuto fare per trovarmi un ragazzo? E alla fine, quando ci riuscivo che ottenevo? Un uomo che preferiva trascorrere le serate a vedere la partita in tv, che non gli andava di uscire. Con Terence non ho bisogno di questo. Sono me stessa. Lo sai che prima le ragazze morivano di anoressia e lo sai perché? Perché dovevano essere belle per piacere. Ora non muore più nessuno e tutti sono più contenti.
- Non sono venuta qui per parlare di filosofia, voglio solo sapere se hai sentito qualcosa da qualcuno dei nostri amici.
- Sarebbe bellissimo se Massimo si fosse fatto fare un tuo duplicato! Pensa un po’: una Tiziana come aveva sempre sognato.
- Quella che ho visto in giro era la mia copia, ma in versione zoccola. Aveva una minigonna che pareva una sciarpa.
- Tu non hai mai indossato una gonna in tutta la tua vita. Quella donna ti ha fatto vedere che non avresti nessun problema a vestirti in un modo più femminile.
- Come mi vesto sono fatti miei! Rispondimi soltanto a questa domanda: sai se Massimo mi ha fatta duplicare?
- Massimo ha un duplicato, ma mi spiace deluderti, non sei tu.


3
Tiziana suonò il campanello. Le aprì la porta una donna dall’aria corrucciata. Ma non era certo l’espressione la prima cosa che si notava di una come quella. Vestita con indosso una corta tunica da schiava antico-romana e sandali allacciati alle caviglie la donna chiese il nome dell’ospite.
- Tiziana. Dica al suo padrone che sono Tiziana e che vorrei parlargli.
La donna fece entrare Tiziana nel salotto.
- E’ la signora Tiziana, dice che vuole parlargli, signore.
Massimo era sorpreso della visita, da tempo non rivedeva Tiziana. La fece accomodare, batté forte le mani e chiamò a sé la donna.
- Porta il carrello delle vivande per gli ospiti, sbrigati!
La donna obbedì, uscendo dalla sala.
- E’ il duplicato della tua Capoufficio?
Stavolta Massimo parve colpito dalla domanda, ma volle rispondere sicuro, orgoglioso, quasi esagerato.
- Si, è la mia schiava.
- Una sorta di vendetta sociale a quanto vedo. La lotta di classe arrivata all’ultimo stadio.
Massimo non volle controbattere, disse solo che ognuno era libero di scegliere il prodotto che più desiderava. Il duplicato della Capoufficio tornò col carrello delle vivande, chiese a Tiziana cosa preferisse.
- Il solito bicchiere d’acqua.
Poi si rivolse a Massimo. Fece una piccola reverenza, piegando le ginocchia di fronte a lui.
- Un rum con fragola e ghiaccio!
La donna obbedì, preparò il bicchiere a cui aggiunse delle fette di fragola. Un altro inchino prima di porgere da bere.
- Come fai a sapere che è la mia Capoufficio?
- Non è la tua Capoufficio, Massimo, credo che se lo sapesse avresti dei bei guai sul lavoro. In ogni caso è stata Irene a dirmelo.
Massimo strinse forte il bicchiere in un gesto falso di teatrale rabbia.
- Non si può neppure avere un po’ di riservatezza! Irene!
- Cos’hai contro Irene?
- Irene dovrebbe starsene zitta, con il suo pupazzone!
- E tu invece?
- Il mio caso è diverso dal suo. Quel Terence non è altro che un bambolotto venduto da una multinazionale, lo sai quanti Terence ci sono al mondo?
- Tutti quelli che sono stati comprati dalle fans di Terence Brand.
- Lo capisci? Se giri per la città ne trovi a centinaia di duplicati di Terence Brand. Tutte innamorate del bel Terence, tutte a vedere i suoi film e un duplicato come quello è ammesso, perché lui è un personaggio pubblico e prende un sacco di soldi dal suo duplicato, ma pensa i rischi che corro io, che corrono quelli come me che hanno duplicato un privato cittadino.
- Massimo voglio parlarti proprio di questo.
- Di cosa?
- Da chi te lo sei fatto fare il tuo pupazzo?
Un ghigno comparve sul volto di Massimo. Un’espressione che Tiziana provvide immediatamente a distruggere.
- Non ci siamo capiti. Non voglio duplicare nessuno.
- Allora qual è il motivo di questa domanda?
- In città gira un mio duplicato, è ovvio che qualcuno deve avere fornito i miei dati al duplicatore.
- E tu hai pensato che fossi stato io? Ti ringrazio!
Le scuse di Tiziana furono interrotte dalla distrazione di Massimo. L’amico si rivolse al duplicato della Capoufficio.
- Porta via il carrello. E cambiati il vestito. E’ da ieri sera che sei vestita così.
- E’ il vestito da schiava, a lei piace che mi vesta da schiava - rispose con dolcezza il duplicato.
- Che vestiti hai da proporre?
- Ho quello da scolaretta, poi quello da segretaria che a lei piace tanto, quello da cameriera, ma il grembiulino è sporco del vino che mi hanno versato i suoi amici, padrone, poi ho quello da majorette, da ragazza pon pon...
- Vada per la majorette!
- Come comanda, signore.
Il duplicato uscì di nuovo. Tiziana cercava di capire il comportamento di Massimo. Quella storia del vestito pareva un diversivo per evitare la faccenda.
- Non sei curioso di sapere chi mi ha duplicata?
- Tu credi che sia stato io non è vero?
- Come hai fatto ad ottenere un duplicato di quella donna?
- Ho semplicemente detto ad un duplicatore chi fosse il soggetto che desideravo. Il resto è stato fatto interamente da lui.
- Ma il duplicatore avrà avuto bisogno di qualche riferimento, una foto, un filmato.
- Vedo che non sei così digiuna di questo argomento come vorresti mostrare.
- Ho avuto a che fare con la faccenda ed è una cosa che non mi è andata giù.
- Ricordo benissimo e mi scuso.
Il duplicato era tornato. Il gonnellino da majorette iniziò a roteare di fronte agli occhi dell’uomo, a tempo con il bastone dorato.
La gambe danzanti della Capoufficio ipnotizzarono gli occhi di Massimo. Assorto nello sguardo, Massimo riuscì a parlare solo molto tempo dopo.
- Io ti ho dimenticata Tiziana. E tu sai come si fa.



4
- Adesso dovrò farle alcune domande, so che saranno dei ricordi terribili per lei, ma devo farlo, se ne rende conto, vero signora?
- Si, ero già stata informata della procedura.
- E’ fondamentale per il test a posteriori. Si metta pure il casco.
La donna infilò il grosso casco sulla testa. Tiziana si alzò dalla sedia per aggiustarne la posizione e accese la macchina.
- Un breve attimo d’attesa per far scaldare la macchina.
- Me ne ricorderò in sogno, dottoressa?
- No, non dovrebbe accadere. Se l’operazione riesce perfettamente non dovrebbe succedere.
- Lo spero davvero, dottoressa. Non sa quanta voglia ho di dimenticare tutto.
- Me ne rendo conto. Possiamo iniziare?
- Va bene.
Lo scanner cerebrale mostrava zone chiare. Il ricordo non era stato ancora attivato. Tiziana partì quindi con la prima domanda:
- Si ricorda il giorno in cui avvenne?
- Era una notte di maggio. Non mi ricordo il giorno di preciso, ma era di maggio, ne sono sicura, maggio di quattro anni fa.
- Quanti eravate in casa?
- Io, mio marito e il mio nipotino.
- Eravate già a dormire.
- Si, avevo già messo a letto Giovanni. Io e mio marito dormivano da qualche ora...Le tre e ventiquattro, mi ricordo l’ora...che strano, l’ora e non il giorno.
Lo scanner mostrava zone azzurrognole nella parte sinistra del cervello. Tiziana fece un rapido zoom sull’area. La donna continuava a parlare. Il colore azzurro si intensificava.
- Sentii un rumore, mio marito accese la luce, scese le scale...non sentii più niente per un bel po’, poi....
Gli occhi dell’anziana donna iniziarono a lacrimare. Lo scanner indicava una zona piuttosto larga nel lobo occipitale sinistro. Tiziana dette un ulteriore ordine di zoom allo scanner.
- Che successe poi signora...si faccia forza, ci siamo quasi. Tiziana incoraggiò la donna a proseguire in quel ricordo, malgrado il dolore.
- Chiamai mio marito, perché non udivo niente...Carlo, Carlo che succede! Ma non mi rispondeva. Poi sentii delle voci, e poi dei rumori. Oggetti che cadevano. Sentii Carlo urlare. Andai a vedere, la luce era accesa, tre uomini stavano prendendo a calci e pugni il mio Carlo!
La donna scoppiò a piangere. Freddezza. Tiziana doveva mantenersi fredda, non consolare la donna, malgrado il dolore terribile di quel ricordo. Lasciarla piangere in pace. Non era crudeltà, era la sua professione. Doveva concentrarsi sulla schermata dello scanner. La zona era ormai identificata. L’epicentro del dolore doveva essere da quelle parti.
- Occipitale  sinistro, 85° sud, 35° nord, 33° interni...Zoom!
Insistette ancora con una la domanda. Il tono della voce di Tiziana si fece più coinvolto. Stava per arrivare all’epicentro.
- Mi racconti del bambino. Che successe a suo nipote?
Non riuscì a parlare per molto tempo, i singhiozzi soffocarono le parole della povera donna, ma rivelarono alla perfezione il punto preciso in cui era nascosto quel ricordo, l’epicentro della storia e del dolore della paziente di Tiziana.
- Stesse coordinate, 33 interni e 810 millineuroni. Ci siamo! Stampa la schermata.
Poi, rivolta all’interfono dell’ambulatorio:
- Giulia,  prepara la sala per l’intervento!

La signora si svegliò poche ore dopo. Sull’inizio non ricordava bene dove fosse, cosa normale, dopo un’operazione come quella.
La paziente non doveva incontrare chi l’avesse operata, Tiziana osservò la conversazione da dietro un pannello del reparto ortopedico, la donna non doveva ricordare di essere stata operata alla memoria.
- Tutto bene signora? - le chiese un’infermiera.
- Bene, si cammino perfettamente. Che brutta caduta! Credevo di dover continuare la mia vita sulle stampelle…
Al di la dello schermo Tiziana osservava il risultato del suo lavoro.
- Un lavoro perfetto dottoressa! - la elogiò il primario.
- La memochirurgia ha fatto passi da gigante, non c’è che dire, commentò Tiziana - Un piccolo intervento e nessuno è mai entrato in casa della signora, suo marito non è stato mai stato picchiato, nessuno le ha mai puntato una pistola alla tempia, suo nipote non è mai esistito.
- Preferiresti vivere con un ricordo come quello? - le chiese il primario.
- Una volta dicevano che il dolore aiuta a crescere. La nostra è una società che ha rifiutato il dolore. Ha rifiutato di crescere.
- Noi siamo medici Tiziana, non filosofi. A proposito, Tiziana...mentre facevi l’intervento ha chiamato tua madre.
Tiziana guardò il primario, quasi con un’aria di sottile rimprovero, atteggiamento che si permetteva di avere, grazie alla sua bravura e alla predilezione che l’uomo aveva per lei.
- Mia madre? Ha detto mia madre, vero dottore?

5
Aperta la porta di casa suo padre l’abbracciò forte.
- Che bello! La famiglia di nuovo riunita.
Tiziana si sforzò di offrire il migliore sorriso a suo padre. Lo strinse forte fra le braccia, avrebbe voluto piangere, ma si trattenne dal farlo.
- Sei arrivata Tiziana!
La voce di una donna arrivava dalla cucina. Tiziana udì un rumore di posate, e poi di passi. Doveva prepararsi all’incontro con la donna. Cosa che non le riusciva naturale.
- Ciao Tiziana! Piccola mia!
- Ciao mamma!
Sentì un brivido nel chiamarla in quel modo, un senso di colpa profondo, ma doveva sopportare. La famiglia entrò in sala, la tavola era apparecchiata a dovere. Gli antipasti come piacevano a Tiziana, specialità per cui sua madre era stata famosa fra tutti i suoi amici e conoscenti.
La ragazza si accomodò. Era pronta a subire le solite domande.
- Come va al lavoro Tiziana?
- Piuttosto bene, lavoriamo molto.
- Ci credo, con tutta la gente che cade ne avrete di gambe e braccia da rimettere a posto.
Le domande passavano nella sua testa. Quasi rispondeva in automatico, mentre il sorriso di suo padre le penetrava nel cuore, fino a ferirla. Guardava la donna seduta a fianco dell’uomo, la guardava fissa negli occhi, cercando di capire che sentimenti avesse per lei e se di sentimenti potevano trattarsi quelle sensazioni, più fisiche che emotive che sentiva ogni volta che la vedeva.
Guardava quella donna, ed andava col pensiero al giorno in vide il volto di sua madre per l’ultimo istante. Il momento in cui avevano chiuso la bara. La disperazione di suo padre, quel gettarsi addosso a quel pezzo di legno ed urlare il nome della donna con cui aveva vissuto la vita intera. Chi aveva detto che il dolore si divide? Povero illuso chiunque lo avesse detto. Quello che ricordava era solo il moltiplicarsi per due la sua angoscia, il suo mal di stomaco, incapace di sopportare la sua pena e quella di suo padre.
Non poteva vedere così suo padre. Sapeva che avrebbe perso anche lui se fosse continuata quella storia. C’era chi poteva evitarlo. Non ricordò neppure come venne fuori la proposta, forse l’idea era stata addirittura sua, chissà se suo padre avrebbe fatto da solo un passo come quello. Degli amici  e colleghi dottori fecero i nomi di alcune persone, gente che poteva aiutarli. Bastavano foto, filmati, carte di identità, registrazioni di voci, conservare i vestiti, ricostruire le corporature. Non passò più di un mese e sua madre ritornò in vita in un perfetto duplicato. Stessa voce, stessa altezza, stesso carattere, stessi difetti, stessa capacità di preparare quei deliziosi antipasti, di essere così dolce e gentile, di sorridere e telefonare per chiedere come stai.
Suo padre non riusciva a credere a quello che vedevano i suoi occhi. E per farlo non poteva fare altro che rivolgersi a lei, sua figlia. Dicevano che era la migliore, che venivano anche da altre città per farsi operare da lei e rimuovere i centri di memoria del dolore.
- Non chiedermi niente di questo, babbo!
- Vuoi rifiutare questo a tuo padre? Sto rinascendo, ma mi manca la convinzione di farlo, ti prego Tiziana, io ti ho dato la vita, ti chiedo solo di darla anche a me.
Ragionamento spiazzante, anche per una donna razionale come lei.
Portò suo padre in ospedale, lo operò e quando si svegliò si ritrovò di nuovo a fianco di sua moglie, una donna vitale e allegra e soprattutto mai morta.
Per essere ancora più sicura del risultato gli cancellò dalla memoria che lavoro facesse sua figlia, in modo che neppure gli potesse venire il sospetto di avere avuto un’operazione del genere. Suo padre era tornato a vivere, sua madre era invece stata  sepolta per la seconda volta.

La cena era finita, Tiziana passò un’altra ora a parlare con suo padre e il duplicato di sua madre.
Alla fine di quell’ora si complimentò con se stessa per essere riuscita a parlare di tutto con quei due tranne di qualcosa di vero. Raccontare di un lavoro falso, di colleghi falsi, di un passato falso. Quando si congedò e fu l’ora di tornare a casa, trovò qualche difficoltà a chiamare come padre quell’uomo che la salutava sulla porta.


6
La cameriera ritornò al tavolo con il vassoio delle ordinazioni. Era l’esatto duplicato di una cantante pop, una certa Angie Rodriguez, idolo delle adolescenti e non solo. Massimo e Enrico parvero piuttosto delusi nel vederla tornare ancora abbigliata con quei pantaloni di pelle di leopardo.
- Ehi, qui non siamo leali - protestò Massimo - siamo venuti in questo locale perché c’era Angie Rodriguez come cameriera. La pubblicità dice che dovresti essere in abiti succinti e invece hai ancora questi pantaloni!
- Mi spiace ragazzi, ma non avete raggiunta la quota minima nelle ordinazioni - rispose tranquilla il duplicato.
- Ha ragione Angie, Massimo! Dovevi leggere la postilla in fondo alla pagina del menù.
- Che postilla! - chiese sorpreso Massimo, mentre Tiziana e Irene se la ridevano.
- Ha ragione la signorina - aggiunse Angie con voce squillante - La postilla rimanda all’ultima pagina del menù. Leggi!
Con delusione crescente Massimo le due righe in fondo alla pagina:

* Per avere diritto alla cameriera in abiti succinti la consumazione minima è di 50 euro per tavoli singoli,  100 euro per tavoli da 5 persone, 200 in quelli da 10. I dettagli delle tariffe sono in ultima pagina.

L’uomo lesse il retro copertina. Una lista di abiti con i quali si sarebbe presentata la cameriera era affiancata da un relativo prezzo. Per vederla in calzoncini il tavolo avrebbe dovuto sborsare non meno di 220 euro. Più caro era il body e il bikini. Per non parlare del topless.
- Se vuoi te lo paghi tu Massimo! Noi siamo a posto così.
Irene e gli altri si misero a ridere, mentre sconfortato Massimo guardò nel portafogli constatando di non disporre della cifra necessaria.
Angie carezzò ironicamente la testa di Massimo e se ne andò, scatenando le risate di scherno dei presenti.
- Lo vedete qual è uno dei difetti di avere un duplicato per partner?
Tiziana lanciò il suo uncino verso le certezze degli amici. Erano sempre preoccupati delle sue riflessioni, che ogni volta aggiungevano dubbi che qualcuno avrebbe dovuto abbattere.
- Quale sarebbe questo ulteriore difetto?
- Osservate. Siamo cinque persone ad un tavolo. Di queste due sono duplicati, che non contribuiscono a pagare il conto del pub.
- Noi non ti stiamo simpatici, Tiziana - riprese deciso Terence - eppure facciamo di tutto per non farti mai sentire a disagio. Ti ascoltiamo tutte le volte che ci critici. Cosa dovremo dire di te, allora?
- Ti riferisci al mio lavoro, Terence?
- Tu sei come noi, Tiziana. Elimini dolore, esattamente come noi. Operi la memoria delle persone per non farle ricordare che siamo duplicati.
Tiziana rimase colpita. Era la prima volta che un duplicato le dava contro. Era ovvio che anche i suoi amici la pensavano come Terence. Era umiliante essere messa in minoranza da un bambolotto come quello. Bevve il suo bicchiere d’acqua gassata e si mise a ridere dentro di sé. Un euro e mezzo. Pensò alla cifra che aveva sborsato per la sua consumazione e a quanto poco aveva contribuito al divertimento di Massimo con il suo investimento così risicato.
- Terence non voleva offenderti.
Irene cercò in qualche modo di alleviare il malumore dell’amica. In quell’ambiente ormai Tiziana si sentiva sempre più segregata  e costretta a continue discussioni che forse avrebbe fatto meglio ad evitare.
Chiuse un momento gli occhi, in un attimo di svago dal mondo naturale. Poi li riaprì e lei ricomparve di nuovo.
Era entrata dentro il locale. Era bellissima con i suoi lunghi capelli neri splendidamente adagiati sulle spalle. Vide i presenti voltarsi verso di lei, attratti dal suo volto dolce e dalle sue gambe eleganti che uscivano dallo spacco della gonna.
Fu immobilizzata dalla visione di quel suo perfetto duplicato, di quella bellezza così arrogantemente mostrata al mondo, così leggera e consapevole di sé, come mai lei, che pure ne era l’originale, era mai riuscita ad avere.
Gli avventori erano abbagliati, in uno spettacolo di meraviglia che sedusse Tiziana e attirò gli sguardi dei suoi amici stessi.
Vide scomparire la donna in una delle salette interne del locale. Tiziana si alzò dal tavolo, attirando gli sguardi confusi dei presenti.
- Fermati. Le disse.
Il duplicato si voltò, mostrandole il volto come in uno specchio incapace di starsene semplicemente a riflettere.
Il duplicato le sorrise, con un gesto il più possibilmente teatrale  le gettò un bacio con la mano.
Tiziana si avvicinò al duplicato.
Questa si mise seduta, continuando a guardarla con dolcezza, senza quell’imbarazzo che invece Tiziana nutriva.
La donna, sua perfetta copia,  si mise seduta vicino al tavolo di un uomo. Smise di fissare Tiziana, iniziando la sua opera di seduzione del tizio seduto. Tiziana rimase in piedi, in un atteggiamento di disagio.
Il duplicato si voltò verso di lei:
- Mi spiace, ma non posso andarmene da qui. Lo capisci? Io non sono libera.
Una frase che la spiazzò e non solo perché pronunciata con la sua stessa voce. Cosa voleva dire che non era libera? Si sentì più imbarazzata che mai. Restare lì a vedere  quella sua copia parlottare così vicina a quell’uomo era insostenibile.
Tiziana si allontanò, riprese le sue cose, salutò gli amici.
Aprì la porta del locale. Una cameriera dal corpo di una vedette della televisione la fermò.
- E’ per lei, signora.
Era un biglietto. La donna con il suo volto le donò un ultimo fugace sguardo.
Il sorriso che le offrì pareva la cosa più naturale che avesse mai  visto in quel luogo.


7
- Sono dispiaciuta per come si è comportato Terence, credo che dovrebbe chiederti scusa.
- Non importa Irene, non voglio le sue scuse.
- Ne sei sicura?
- Assolutamente.
Irene le aveva telefonato proprio mentre aveva deciso di chiamare il numero sul biglietto datole da quella donna. Sapeva benissimo cosa intendesse per scuse. Quello di inviare i duplicati a scusarsi per conto dei propri padroni era un modo di fare che Tiziana non gradiva affatto. Era un modo per vantarsi del proprio schiavo: l’offeso si sfogava sul duplicato. Il mandante in quel modo mostrava agli amici ciò che il suo prodotto poteva offrire. Tiziana lo trovava disgustoso, ma non le andava di mostrarlo agli amici.
- Non trovo sensato riconciliarsi con una macchina.
Era il modo più efficace per troncare la discussione, per togliere ogni soddisfazione a Irene.
- Se insisti con questa linea finirai per non avere più amici! - la rimproverò Irene.
Tiziana ringraziò del consiglio, chiuse la comunicazione e  fece l’altro numero.
Rispose una voce maschile.
- Buonasera. In cosa posso soddisfarla?
Il tono era quello di un uomo in carne e ossa, troppo rozzo per essere un duplicato.
- Una donna mi ha dato questo numero.
- Intende avvalersi dei suoi servizi?
La colpiva quell’uso di un linguaggio intenzionalmente corretto, espresso da una voce così ruvida. L’uomo pareva aver appreso qualche tecnica di marketing da qualche corso telefonico, senza però essersi avvalso dell’opportunità di cambiare voce.
- Lei è il suo padrone?
- Lei chi è?
- E’ una domanda che non dovrebbe farmi.
- Che intende dire?.
- Che trovo strano che lei non mi conosca, dato che il suo duplicato ha la mia faccia e va in giro a fare la puttana!
- Non faccio niente di male, è tutto perfettamente legale.
- Sul fatto che sia legale ho i miei dubbi.
- Questo lo vedremo! Sono pronto ad affrontare una causa anche adesso.
- Ottimo, allora. L’aspetto in Piazza della Felicità alla prima cabina libera.
- D’accordo. Non ho niente da nascondere, io!
- Io invece si! E per colpa sua! Intendo convocarla per le quattro e mezzo!
- Accetto!

8
Piazza della Felicità era gremita come al solito. Si mise in fila per il suo turno alla cabina legale. L’uomo si presentò. Fu lui stesso a riconoscerla.
- Il fatto che non abbia avuto dubbi su chi potessi essere non depone a suo favore - esordì Tiziana - è segno che lei ha duplicato quella donna, consapevole che già esisteva il suo originale!
- Come le ripeto non ho assolutamente nulla da nascondere. E’ ovvio che lei non è a conoscenza delle moderne leggi sulla prostituzione. Glie lo dico per farle risparmiare tempo.
- Non si preoccupi del mio tempo. Voglio impedire questo uso scellerato della mia immagine.
Intanto era arrivato il loro turno alle cabine.
Entrarono dentro i rispettivi box. La voce del computer chiese la prima domanda:
- Tipo di causa.
- Penale! Rispose perentoria Tiziana.
La macchina continuò:
- Reato contestato.
- Sfruttamento della prostituzione! - proseguì la donna.
- E’ lei la vittima?
- Si, Vostra Imparzialità, l’uomo nella cabina degli imputati sta usando un duplicato esatto di me stessa. Ha la stessa mia faccia, il mio corpo, la mia voce. E va in giro a chiedere marchette per questo!
- Che cosa chiede l’accusatore?
- La soppressione del duplicato e un rimborso dei danni.
- Imputato, cosa ribatte?
- Mi appello alle recenti leggi sulla prostituzione, e alle nuove leggi sulla libertà imprenditoriale, che creano nuove opportunità di lavoro e investimento.
- Non ha altro da aggiungere?
- No, Vostra Imparzialità.
- I due convenuti vogliono rimanere anonimi?
- Si - risposero all’unisono.
- Bene attendete fuori. La sentenza sarà emanata in breve.
........(continua)......

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