Capitolo 1
LA STRADA PERDUTA
L’umanità è pagana. Mai qualche religione l’ha penetrata. E non è nell’animo dell’uomo comune il poter credere alla sopravvivenza di questa stessa anima. L’uomo è un animale che si sveglia, senza sapere dove né perché.
Fernando Pessoa, l’ Ora del Diavolo
Le epigrafi prima di un romanzo sono un segno di invidia. Significa che qualcuno, prima dell’autore del libro, è riuscito a concentrare in poche righe quello che lo scrittore ha dovuto dire in centinaia di pagine.
Raul Butragueno Fabregas
Nel suo fondamentale e imperdibile saggio del 1986, dal titolo Nessuno vedrà la fine del mondo, il filosofo Raul Butragueno Fabregas, sottolineava come l’inverosimile si distingua dall’impossibile per “una più decisa sfiducia nel reale”. Così, mentre una cosa impossibile è parte del mondo fantastico, l’inverosimile “è l’irrealtà che pezzo dopo pezzo si avvicina al reale, mangiandoselo vivo, trasformando un qualcosa che prima veniva ritenuto impossibile e che diviene probabile, sebbene ridicolo, strano, bizzarro”. L’inverosimile è, per dirla con le parole del famoso pensatore, “la lebbra della realtà”.
Il tizio che era riuscito a rubare un pezzo di un quadro da un museo fiorentino, sotto gli occhi di tutti, era uno che quel libro doveva esserselo letto più e più volte. Sapeva benissimo infatti che l’inverosimile è accettato solo dai bambini e dai dementi, ma usato solo dai geni, e pertanto, forte di questa convinzione e di una smisurata fiducia in se stesso, aveva portato a termine e con successo, l’inverosimile impresa.
Era passato dall’entrata di servizio, quella usata dai dipendenti e dai raccomandati che non comprano il biglietto, presentandosi come il giornalista Mancinelli, atteso dal direttore del Museo, dottor Massimo Basico Gianparnassi. Il soggetto aveva tirato fuori dalla tasca un lettore mp4, premuto un tasto e fatto partire la registrazione di un video con la figlia del direttore che chiedeva al padre di fare quello che diceva la persona che si sarebbe trovato di fronte. La richiesta era che venissero portate in direzione le chiavi del deposito del museo.
Il direttore aveva accettato, terrorizzato dall’idea che accadesse qualcosa di terribile alla propria figlia. Fatto questo e ottenute le chiavi, il direttore venne legato alla sedia, imbavagliato, col telefono staccato e il cellulare allontanato.
Il ladro aveva raggiunto i depositi, indossato un camice bianco, fatto un sorriso al custode di servizio. Una volta entrato aveva preso un quadro, l’Adorazione del pittore fiammingo Van Holsing e ne aveva asportato una parte.
Se ne era andato con il prezioso ritaglio chiuso dentro una valigia, aveva fatto un cenno di saluto al custode e consegnato le chiavi del deposito, quindi, una volta allontanatosi, aveva chiamato da una cabina telefonica e avvertito di liberare il direttore, ancora prigioniero nel suo ufficio.
Inevitabile che la notizia facesse il giro del mondo.
Subito i giornali si fecero mille domande e nessuna rilevante.
Si chiesero tutti con poca fantasia come avesse fatto, che faccia avesse il ladro, se le telecamere l’avessero ripreso, come avesse fatto a mascherarsi, se era vero che indossasse una parrucca, se, come sembrava da quel che diceva un custode, aveva una cicatrice ben vistosa sul collo e se quel segno non fosse una falsa indicazione per sviare l’attenzione. Molto più rare domande del tipo:
- Perché coinvolgere il direttore?
- Perché aveva scelto quel quadro?
- Perché ne aveva asportata soltanto una parte?
- Perché si era limitato a rubare proprio quel quadro quadro, fra l’altro non il più famoso?
- Perché tutto quello sfacciato senso dell’umorismo?
E soprattutto:
- Come non notare il fondamentale apporto dell’opera di Raul Butragueno Fabregas in una faccenda del genere?
Santa ignoranza!
Se solo gli addetti stampa e i curatori leggessero anche le opere dei filosofi, forse a quest’ora quella sconosciuta crosta di Van Holsing sarebbe ancora fra di noi!
Doveva infatti destare quasi un senso di rabbia l’idea che qualcuno riuscisse a fare un colpo, così semplice e ingegnoso da sfiorare il ridicolo e poi si accontentasse di rubare un’opera sconosciuta ai più.
Sembrava quasi che il ladro l’avesse fatto apposta a portarsi via una cosuccia come quella per poi provocare una valanga di domande in un altro momento. Dal secondo giorno in poi, infatti, dopo essersi lambiccati il cervello sul come, iniziarono a parlare del perché e il primo ad essere bombardato di domande fu proprio il povero Gianparnassi, che nel frattempo aveva avuto la peggiore delle sorprese.
Sembrava quasi che il ladro l’avesse fatto apposta a portarsi via una cosuccia come quella per poi provocare una valanga di domande in un altro momento. Dal secondo giorno in poi, infatti, dopo essersi lambiccati il cervello sul come, iniziarono a parlare del perché e il primo ad essere bombardato di domande fu proprio il povero Gianparnassi, che nel frattempo aveva avuto la peggiore delle sorprese.
Subito dopo essere stato liberato, si attaccò al telefono e chiamò la figlia al cellulare, che, guarda strano, di quella storia non ne sapeva nulla, e anzi stava bene, e se ne andava in giro con le sue amiche a trasformare la carta di credito di papino in borsette e vestiti firmati. Soltanto dopo qualche minuto la ragazza si rese conto di aver pronunciato esattamente quella frase riguardo al fare tutto ciò che quella persona voleva. Le era venuto fuori in modo spontaneo, una sera che aveva conosciuto un tizio, di età indefinibile, con una faccia che non ricordava più, che, dopo averla rimorchiata, mezza ubriaca in una birreria, le aveva fatto la seguente proposta: Sono un artista, ho molto denaro, ma ho bisogno di un personaggio autorevole che sia disposto a parlare positivamente di me, a recensire in modo favorevole la mia opera. Ho parlato con tuo padre, ma lui non vuole saperne! Potresti dirgli di accettare la mia proposta? Lo ripeto: posso offrire fino a 10.000 euro!
La fanciulla, che fino al quel momento aveva prelevato dalla carta di credito del padre, senza farsi molte questioni morali, vedeva la possibilità di usufruire di quei soldi. Quindi di fronte alla webcam del richiedente, dette il meglio di se stessa:
- Ti prego babbo, fai quello che ti chiede questa persona! Accontentala!
In un secondo momento il ladro aveva ripulito il video: eliminato il rumore di sottofondo della birreria, facendo risaltare soltanto il monologo della ragazza. Per il resto non aveva fatto altro che andare dal dottor Gianparnassi con quella registrazione. Non una pistola, non un coltello. Solo un po’ di spago e di scotch, giusto per tenerlo buono. Si certo! Forse aveva anche una parrucca, dei baffi, degli occhiali e una finta cicatrice sul collo, alterato la voce e indossato dei tacchi per apparire più alto.
Chi mai penserebbe di poter fare un colpo come quello, se non qualcuno fortemente fiducioso nelle potenzialità dell’idiozia umana?
Un vecchio proverbio asseriva che per gli stupidi non esiste il paradiso. Probabilmente era vero, ma allo stesso tempo si doveva riconoscere come gli idioti possedessero una fortuna maggiore degli altri, soprattutto gli idioti che occupano settori importanti della vita pubblica. I provvedimenti contro il dottor Gianparnassi non tardarono ad arrivare, ma ben presto le sanzioni furono alleggerite e poi tolte. Una volta capito che quello non sarebbe stato un episodio isolato.
Dai propri padri si può ereditare di tutto: una fortuna come un mucchio di debiti. Thelonius Fante da suo padre aveva ereditato niente più del suo nome.
Thelonius era vittima del jazz e di un padre innamorato della musica di un pianista dal carattere bizzarro. In tutta la sua vita, il padre non si era preoccupato di lasciare averi al proprio figlio, convinto che con un nome del genere sarebbe potuto entrare nell’olimpo della musica e che, se avesse voluto intraprendere una carriera di pianista, chitarrista rock o cantante, con quel nome avrebbe avuto molta più fortuna che se si fosse chiamato Giovanni, Stefano o Goffredo.
A dire il vero, Thelonius ad amare il jazz ci aveva provato; ma di fronte al muro sonoro fatto di trombe, sassofoni e contrabbassi, aveva deciso di arrendersi, e di diventare un amante del rock.
La sua strada Thelonius l’aveva trovata in tutto un altro campo.
Quando uscì un suo saggio intitolato “Il paganesimo della famiglia Medici”, il mondo della storia dell’arte si divise in due diverse fazioni: quelli che lo consideravano un vero genio, percentuale che raggiungeva circa un terzo di tutti coloro che avevano letto il suo libro, e quelli che lo consideravano un autentico cialtrone, la cui percentuale raggiungeva il restante 66,6%.
Thelonius viveva grazie al 33,3% di lettori.
La sua attività principale consisteva nello scrivere tesi per conto terzi, lavori che erano commissionati da tutti coloro che ritenevano estremamente valide le sue idee, o che speravano fare scandalo nel mondo universitario.
Il tizio che aveva di fronte a sé, nella propria roulotte, apparteneva alla percentuale del 33 periodico e intendeva farsi scrivere una tesi dal titolo: “Il museo naturale contro il museo zoo”.
Per riassumerla, il tizio voleva che Thelonius si scagliasse contro la concezione moderna dei musei nazionali, che come disse una volta un noto ministro, “servivano per fare cassa”, ovvero per attrarre i turisti, vendere loro biglietti, cartoline, poster e quanti più oggetti possibili, per raddrizzare le finanze dello stato italiano. Contro tale idea di museo, il tipo di fronte a Thelonius, proponeva di riportare i capolavori nei loro luoghi originali, in modo da costringere i turisti a andarseli a vedere nelle vecchie chiese e palazzi patrizi e trasformare quella massa di vacanzieri in viaggiatori veri e propri. L’idea non era male e anzi Thelonius l’appoggiava, ma se proprio ci teneva così tanto, perché non se la scriveva da solo?
- Ma come? – si stupì, quasi offeso il cliente – non siete voi che scrivete tesi per conto terzi? Non siete voi quello che ha dichiarato che “nei musei l’intelligenza sta appesa al muro, come un assassino alla forca”?
- Sono io, ma una cosa è relazionare su un argomento, un libro, un’opera, un’altra sui convincimenti. Mi spiace tanto, ma non scriverò la sua tesi.
Il tizio non aggiunse altro, ma lasciò che la sua faccia si storcesse in modo tale da non rendere necessario l’accompagnamento acustico. Si alzò, uscì dalla roulotte e si diresse verso l’autovettura.
Una bella macchina a dire il vero. Nuovo modello Mercedes, che per uno di soli venticinque anni, che in vita sua non doveva aver mai lavorato un minuto, era un bel possedere. Thelonius capiva benissimo quali fossero le preoccupazioni di un tipo del genere. Uno con una carrozzeria come quella non poteva starsene tutto il giorno chiuso in una stanza a studiare; che figura ci avrebbe fatto col paparino che gli aveva comprato la macchina?
Lo vide andarsene via, rombando il più forte possibile, come se volesse sottolineare la differenza di ceto fra chi vive in una roulotte e chi un veicolo lo usa solo per muoversi.
Non sapeva quanto si sbagliasse. Thelonius certo non era ricco, ma neppure indigente. Le sue tesi gli avevano procurato un campo agricolo di almeno sei ettari, dentro al quale aveva piantato la sua roulotte. Aveva l’orgoglio di uno che aveva ottenuto tutto quello da solo, con la forza delle sue idee. Quanto a mostrare la propria ricchezza agli altri, era una cafonata che lasciava a quelli come il cliente, che aveva appena voltato il sedere tutto imbronciato all’idea di doversi scrivere una tesi da solo.
Thelonius stava per richiudere la porta, per dedicarsi al pranzo macrobiotico del suo gatto Schopenauer, quando vide notò la figura appoggiata alla moto. Se ne stava in disparte. Durante tutto il tempo che era rimasto a parlare con quel tipo, non ne aveva avvertito la presenza. Ora veniva verso di lui, indossando il casco integrale con la visiera abbassata.
- Non le fa caldo lì dentro?
Alzò la visiera e si tolse il casco.
Non si aspettava che sotto vi potesse essere una donna e di quella bellezza, per di più!
- Un cliente deluso, signor Fante?
- No, è venuto a farmi vedere la sua macchina, ma gli ho detto che non intendo comprarla.
- Posso entrare?
- Perché? Si fida?
- Non si preoccupi per me, signor Fante, se fosse necessario saprei difendermi anche da lei.
- Buono a sapersi, ma intendevo dire che dentro non è propriamente pulito … Insomma voglio dire …
- Non sono dell’ufficio d’igiene, signor Fante, sono qui per proporle un lavoro … E poi è bene che si senta un po’ in imbarazzo. Questo mi favorirà!
Fra le tante particolarità di quella donna, l’affascinava la sua totale indifferenza all’immane casino che regnava sovrano nella roulotte. Inoltre aveva ragione. Una volta tanto si sentiva in imbarazzo a presentarle una casa in quelle condizioni, proprio davanti a lei, con quegli occhi grandi e i capelli neri e obbedienti. Più quella distraeva lo sguardo dal disordine, dalle lattine per terra, dai pantaloni gettati nelle scatole di cartone e più lui si sentiva un cialtrone.
Non c’era niente di meglio che chiederle di venire al sodo.
- Ha mai scritto una biografia, signor Fante?
- Ovviamente, signora … Come si chiama a proposito?
La donna tirò fuori un pacchetto di biglietti da visita. Ognuno con un nome e un cognome diverso: Elisa Ballerini, Olga Rantes, Stefania Coralli, Ilaria Montes, eccetera.
Thelonius guardò la donna con sguardo sospettoso.
- E questo che mi rappresenta? Che vogliono dire questi biglietti da visita; lei è tutte queste persone?
- Ovviamente no! Che differenza fa come mi chiamo? Amo cambiare identità quando posso. Scelga pure il nome che preferisce.
Per uno che si chiamava come lui, la scelta era quasi obbligata.
- Ilaria Montes?
- Lo sapevo! Suona veramente falso, eh?
- Quasi come il mio.
- Appunto! Così avremo qualcosa in comune e non si sentirà così in imbarazzo solo perché vive in un porcile. Non si preoccupi, è la sua reputazione quella che mi interessa.
- Non è proprio la cosa che mi invidiano di più al mondo!
- Lo so! Il suo lavoro sulla famiglia Medici ha fatto furore. Le propongo un argomento che desterà ancor più scalpore del precedente.
- Sono tutto orecchi!
- Come le dicevo: vorrei che lei scrivesse una biografia. La storia umana e artistica di uno degli artisti più importanti del XVII secolo …
- Ovvero?
- Nero dei Lontanmorti.
Thelonius si pentì in quell’istante di averla fatta entrare nella sua roulotte e di essersi fatto prendere in giro. Chi diavolo era questo Nero dei Lontanmorti? Cosa mai voleva quella donna con un nome a scelta, da uno come lui? Pensò a tutto: che potesse essere una delle tasse, della finanze, della narcotici. Si alzò in piedi, facendo cenno alla donna di fare ugualmente e di procedere verso la porta.
La donna, al contrario, rimase seduta, estrasse un blocco degli assegni e vi scrisse un numero sopra. Lo porse a Fante.
- Le bastano?
- Ma insomma – sbottò, esterrefatto – che vuole?
- Diavolo! E’ più testone di quel che pensassi. Glie l’ho detto, no? Voglio che lei scriva la biografia dell’artista.
- Ma di chi? Nero dei Morti?
- De’ Lontanmorti!
- Appunto! E chi sarebbe stato? Chi l’ha mai sentito nominare?
- Proprio per questo voglio che lei tolga il velo di ignoranza riguardo a questo artista.
Thelonius si rimise seduto. Si grattò la testa. Guardò l’assegno, più perplesso di prima. Poi riguardò la donna, che lo fissava con sguardo ironico.
- Come ha detto che si chiamava questo tizio?
- Nero de’ Lontanmorti. Non mi sorprende che non conosca il soggetto, signor Fante. Trovo solo paradossale che un artista di questa città sia conosciuto negli Stati Uniti e non qui.
- Ma lei ha detto che era vissuto nel XVII secolo? E allora che c’entrano gli Stati Uniti?
La donna aprì la borsa e gli mostrò una foto. Rappresentava un dipinto dal soggetto quanto meno inusuale: un cavaliere bardato di armatura e lancia, che, seduto con aria annoiata su una pietra di fronte a una cavità nella roccia.
- Lo sa, com’è intitolato questo dipinto?
- No.
- San Giorgio senza il drago.
Fante scoppiò a ridere, credendo di trovarsi di fronte a uno scherzo maldestro. Forse pensava che la burla qualcuno l’ avesse fatta alla donna di fronte a lui.
- Mi faccia capire – riprese, Fante ridendo – in America, lei o qualcuno a lei vicino, ha comprato un dipinto di un certo Nero de’ Lontanmorti che rappresenterebbe un cavaliere senza un drago da cacciare. Sostiene addirittura che il dipinto abbia come titolo San Giorgio senza drago! Quanto lo avrebbe pagato questo quadro?
La donna non si mosse di un millimetro, non fece un gesto, non si innervosì.
- E’ completamente fuori dal seminato, signor Fante. Non ho comprato nessun quadro, al contrario!
- Va bene, l’ha venduto, spacciandolo per un artista che, a quanto pare, lei si è inventata tout court. Lo dica, signora Montes, o come diavolo si chiama, questo … Nero de’ Lontanmorti è una sua invenzione, ottima per il mercato americano e per qualche nababbo babbeo del Texas!
- Si sbaglia! Nero de’ Lontanmorti è esistito davvero, come è vero che quel quadro è stato venduto per una cifra che non le dirò perché non le deve interessare. Posso solo dirle che è stato venduto come Anonimo del 1600, ma è opera di Nero. Voglio solo che lei faccia quello per cui l’ho ingaggiata. Faccia buon lavoro, quando l’avrà finito riceverà il doppio di dell’importo scritto su quell’assegno.
Quella donna era tremendamente seria. Lo mettevano a disagio le persone come lei, e ancor di più quell’assegno, con quella cifra scritta sopra, che nessuno mai gli aveva dato. Si passava tra le dita quel pezzo di carta, mentre la donna riprendeva le sue cose, metteva il casco sotto il braccio e porgeva la mano a Fante, col piglio di una donna d’affari.
- Mi aspetto grandi cose da lei, Fante! Non deve fare altro che spedirmi via e-mail il lavoro che di volta in volta svolgerà. L’indirizzo lo trova sul biglietto da visita. I suoi pagamenti avverranno per assegno o per contanti in una busta. Inizi a lavorare, Fante e vedrà che questo farà passare in secondo piano anche il suo lavoro sul paganesimo dei Medici.
Uscì fuori e lui la guardò allontanarsi, indossare il casco e poi rombare via con la motocicletta di produzione americana, comprata forse nello stesso posto della compravendita del dipinto.
- Questa è tutta matta! - pensò fra sé Thelonius - fortuna che è piena di soldi!